« L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro. La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione. » (Articolo 1 della Costituzione Italiana)
All'articolo 29 si legge, inoltre : 1- La Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio. Come ho avuto modo di spiegare in precedenza le parole che usiamo correntemente non indicano più qualcosa che abbia una qualche consistenza, ma tradiscono, per chi ne conosce l'origine etimologica, un inganno a discapito della comunità della anime che abitano questo pianeta.
La parola "lavoro" proviene dal latino: [labor] fatica, ed anche oper faticando, ossia lavorare. In varie lingue europee, il significato originario di questa parola, messo in luce dalle diverse etimologie, pare concentrarsi sempre sui suoi accenti più negativi: dolore (travaillé; trabajo), servitù (Arbeit), solo in qualche caso come urgenza (work). La voce famiglia procede dal latino famīlia, ovvero gruppo di servi e schiavi patrimonio del capo della "gens". Il termina è anche derivato dalla parola latina famŭlus, "servo", "schiavo". Nel campo semantico di famīlia sono inclusi anche la sposa e figli delpater familias, a cui appartenevano legalmente. La parola servo a sua volta si riferisce a qualcosa di "custodito", dal verbo "serbare", tenuto in conservazione.
Ritraducendo gli articoli della "costituzione" alla luce di quanto esposto risulterà, provocatoriamente, chiaro che la "repubblica italiana" è una democrazia fondata sulla fatica, e riconosce, come condizione naturale della società, la cerchia dei servi. Forse in origine le intenzioni di chi ha usato queste parole per definire il confine della repubblica e gli articoli costituenti o che ne delimitano il recinto, saranno anche state altre, ma sta di fatto che allo stato attuale della società che osserviamo quotidianamente queste due parole hanno ritrovato nei fatti il loro originale significato. Stando all'origine del termine famiglia, il "valore" su cui si fonda la nostra società è la schiavitù, una condizione di asservimento materiale e psicologico, dipendenza da un vizio, da un'abitudine, da una situazione vincolante per lo più economica, un occupazione senza senso finalizzata all'ottenimento di un posto di "lavoro", ovvero "fatica" retribuita, e non alla realizzazione di un arte o mestiere che ne elevano e sviluppano le qualità o attitudini individuali. Come se il ricevere un compenso per "questo" esaurisca ogni esigenza individuale. Certo tu mi dirai - "ma il denaro ci permette di fare quello che vogliamo!". Falso il denaro ti permette quello che altri hanno deciso essere quello che vuoi. I tuoi bisogni non sono i tuoi bisogni, i tuoi bisogni ti sono stati indotti sin dai prima anni di vita. Pensate soltanto a quello che fanno ai bambini con la pubblicità sui giocattoli.
Il lavoro è denaro ed il denaro è innanzitutto cibo, mascherato dietro la possibilità di possedere oggetti e intrattenimento che dovrebbero ricompensarci della perdita di "libertà" interiore, di integrità e di dignità. Ci tengono e ci prendono per fame, e chiunque di fronte a questi argomenti non può che abbassare il capo e sottostare alle condizioni che gli vengono imposte (lavoro precario, in nero, sottopagato, usurante, e quant'altro). Limitare la dignità e la realizzazione di un individuo attraverso il "lavoro" (ovvero "fatica" retribuita) che presta nella società, è di fatto una privazione del suo "spirito" ed impulso più profondo a "conoscere". Chiunque libero dal pregiudizio e dalla "paura" non potrà che constatare come oggi tutte queste cose siano esclusivamente dei vincoli ai quali l'uomo finisce per restare legato. Il collante? Sempre lo stesso: la "paura". E sarà la "paura" che sentiremo il 1° maggio in tutte le piazze di questo paese, la "paura" di restare senza occupazione, "paura" celata dietro la "preoccupazione" ed il "timore" di rimanere senza cibo, senza denaro per pagare le bollette, i mutui, la scuola e il mantenimento dei nostri famigliari. Il 1° maggio sperimenteremo il peggio astrale, piano emotivo o cielo nero degli ultimi anni, milioni di persone in piazza a protestare, mugolare, riempendosi la bocca con la parola "lavoro", "occupazione", senza sapere cosa stanno realmente dicendo e chiedendo, ed immerdando il cielo (già nero) con la loro autocommiserazione e "paura". Il "lavoro" non è dignità, è "fatica", è la fatica non nobilita l'uomo lo abbruttisce e lo abbassa alla condizione di "servo", di "dipendente".
Capisco che queste parole possono sembrare dure, ma quello di cui abbiamo bisogno non è "occupazione", anche se sulle prime sembra l'unico vero problema, ma è sognare un mondo diverso, completamente diverso dalla struttura attuale e per farlo dobbiamo prima riuscire ad immaginarlo, a sentire che un sistema diverso è "possibile"; non distruggere per distruggere, ma mostrare un'altra prospettiva di sviluppo che riparta non dai consumi, ma dall'uomo e dal suo bisogno assoluto di integrità. E' per questa ragione che inconsapevolmente le persone sono stufe delle ruberie e della corruzione, intuiscono uno spasmodico bisogno di "integrità". Far ripartire l'economia ed i consumi o la piena occupazione non sono soluzioni alla situazione contingente, sono bugie, si sa che non possiamo continuare in questo modo, che il sistema attuale è insostenibile, ha raggiunto il suo "break point". In qualunque società un sistema non sostenibile è destinato a crollare: se non è sostenibile a livello spirituale impazziranno tutti, se non lo è a livello di risorse, avverranno guerre e distruzione per l'accaparramento delle risorse, se non è sostenibile in entrambe avrai dei pazzi guerrafondai e guerre civili. Se continueremo a produrre e mangiare il territorio come abbiamo fatto sino adesso non resterà niente per nessuno. Il sistema è in "crash", perché lo è l'uomo: è l'uomo che deve cambiare e come conseguenza cambierà il sistema di sviluppo. I nuovi "assunti" parlano dell'uomo al centro, e di una società in grado di sostenere il suo sviluppo, che non è quello economico o sociale, quello viene dopo aver risanato l'uomo.
Come sarà il nuovo mondo non lo sappiamo, ma sappiamo che quello che vediamo che non va oggi o che che non ci piace, dipende in qualche modo da noi, da come siamo stati "formato" o condizionati. La crisi è dell'uomo. Se non cambiamo l'uomo non possiamo cambiare il mondo, anche perché quello stesso uomo non potrà, a causa di come è "fatto", che battersi affinché nulla cambi, affinché resti lo status quo anche se a parole dice il contrario. Un siffatto uomo vuole solo ridurre le diseguaglianze per poter accedere egli stesso alla possibilità di ricavarne qualcosa da una siffatta società. Senza un cambiamento di mentalità siamo destinati ad un nuovo medioevo. A nulla serve distruggere se non cambiamo l'uomo, se l'uomo non si decide a crescere e rendersi responsabile e farsi carico dei cambiamenti sociali. Il voto è delegare a qualcun altro, anche se per aprire una breccia a questa nuova visione è stato utile esprimere un voto. Non possono essere i nostri delegati a cambiare le cose e rassicurarci sul poter continuare come abbiamo fatto. Dobbiamo cambiare dentro.
La festa del 1° maggio è la festa della schiavitù, è la sua consacrazione, l'atto finale di una grande farsa, è la festa ed il sigillo della sconfitta inevitabile di questa umanità. Dobbiamo scendere nelle piazze per cambiare le condizioni di vita qui, dobbiamo realizzare un nuovo modo di fare sviluppo che parta dalla restaurazione del Sè, dello "spirito" individuale. Una strada difficile perché dovremmo abbandonare tutto, tutto ciò in cui crediamo e crediamo di "essere". E' di questo che già 2000 anni fa parlava un uomo detto il Cristo e che resta ancora inascoltato. L’occupazione è schiavitù, è servilismo, dovremmo chiedere un mondo diverso, condizioni di vita differenti, partendo da assunti diversi, nuovi anche se nuovi non lo sono: lo sono nuovi per noi. Essere “dipendenti” è la maschera che gli uomini indossano per nascondere l'assenza di libertà e la loro sostanziale rinuncia alla vita e allo "spirito" autentico depositato nell'uomo dalla sua venuta su questo piano. La condizione impiegatizia è la più abbeverante trasposizione dell'antica schiavitù.
Uno stato di immaturità interiore, una condizione di pigrizia interiore che gli impone la comodità di una vita vissuta nella ripetizione di gesti e comportamenti. L’uomo "servo" difende il suo "lavoro", la sua "occupazione", ma di fatto difende la sua condizione di schiavitù. Difende il suo datore di "lavoro" (ovvero datore di "fatica", "dolore" e "sofferenza") che serve incondizionatamente per "paura" di restare senza sostentamento, senza vita, e così facendo si impedisce di conoscere la natura vera del suo “essere”. Masse umane condannate alla ripetitività senza fine, alla ripetitività di un mestiere per lo più nemmeno scelto per passione, ma per “necessità” materiali, nella ripetizione di un mestiere senza creatività, masse umane che cercano nell'intrattenimento il riscatto di una giornata convulsa vissuta nell'inutilità. Uno sterminato esercito di esseri curvi, sconfitti, piegati ai bisogni immaginari di padri e figli, di madri e nipoti, che hanno smesso di credere nella propria unicità. Dipendere non è l'effetto di un contratto, non è legato al ruolo che ricopri, e non è nemmeno una questione di "cibo": dipendere è la conseguenza di un abbassamento della "coscienza", è una diminuzione della propria dignità. È il risultato della perdita della propria “anima”, intenso come l’autentica dignità e natura indistintamente "regale" dell’uomo. Il "lavoro" è aggiungere materia alla materia. Dipendere è il segno di un disfacimento della nostra ragion d’essere, dello scopo vero dell’esistenza umana.
E' questa condizione interna a generare quella degradazione che nel mondo assume l'aspetto di un ruolo subordinato, di un impiegato o di un operaio e persino di un manager. Sono solo gradini nella gerarchia degli dei "servi": un manager è un impiegato che si sforza di credere in quello che fa, fortemente identificato nel suo ruolo che, per quanto mediocre, gli dà un'appartenenza (all'azienda per cui lavora, ovvero da cui dipende), l'illusione, cioè, di avere una direzione ed un qualche "valore" personale. Dipendere è l'effetto di una mente resa schiava da timori immaginari, creati ad oc per tenerci sotto controllo. Se non vinciamo la "paura" non potremmo mai dire di essere liberi. Un dipendente è uno schiavo. Un "dipendente" è uno schiavo ed è la paura a renderlo tale. E' la "paura" di non riuscire a sopravvivere da solo, con le proprie risorse a renderci schiavi, è la paura a renderci insicuri e bisognosi delle attenzioni altrui o del sostegno esterno. Il bisogno di attenzione, di “considerazione” è il riflesso della nostra "paura": vinci la paura ed avrai vinto il mondo, avrai conquistato il diritto di esistere. Ciò che conta è sapere chi sei, cosa sei, e cosa cerchi, non come ti chiami o quanto hai in banca.
Dipendere è sempre una scelta personale, anche se involontaria. Siamo assuefatti a quello che c'è, vogliamo scivolare liscio, non vogliamo intoppi, nessuna "conoscenza" ulteriore, vogliamo solo "cibo", un "giaciglio" e la nostra piccola sfera di influenze per sentirci importanti, per "riprodurci" e trasmettere questa infezione alla nostra discendenza. Anzi al livello di degrado attuale vogliamo solo goderne senza la responsabilità di "procreare". Niente e nessuno può costringerci a dipendere: solo tu puoi farlo e lo fai. Dipendi dal tuo impiego, dalla tua casa, dalla tua famiglia, dai tuoi figli; dipendi dal tuo guru o dalla tua scuola di risveglio, dal tuo "karma" e dal tuo yoga e da chissà quant'altre cose. Se ti lamenti del tuo lavoro sei schiavo, se ti lamenti dei tuoi colleghi sei schiavo, se ti lamenti della tua retribuzione sei schiavo. Se ti lamenti sei schiavo, qualsiasi sia il tuo ruolo nella società. Lo schiavo si caratterizza da un "emozionale" totalmente fuori controllo.
Inconsapevolmente o meno tu scegli la schiavitù per “paura” ed è per questo che adesso imprechi contro il governo o col controllo mondiale, devi trovare un capro espiatorio alla tua indulgenza e vigliaccheria. I Sistemi, come pendoli ci fanno oscillare nella considerazione, ora a destra, domani a sinistra; sono i templi della nostra dipendenza, templi di un culto che è la "paura". E' la "paura" a fartelo fare, è che tu non la vedi e non la senti più, ti domina. Ecco perché abbiamo bisogno di rivoluzione, di una grande rivoluzione della visione d’insieme, una rivoluzione che coinvolga la nostra "coscienza": un’opera di trans - valorizzazione, un’opera di cambiamento dei valori in gioco. Personalmente credo che senza un cambio dei valori depositati nella personalità a causa dei primi processi educativi noi distruggeremmo ogni cosa, abbiamo bisogno di dare corso ad un possibile cambiamento del "pensiero". Solo una mente liberata dai condizionamento può vedere e comprendere il mondo in cui vive e comprendere l'esistenza degli angeli e degli dei. Un Dio è un uomo che ha raggiunto un altro grado di consapevolezza, ha sconfitto la "paura" e soprattutto l'importanza personale, si è reso "inaccessibile" e quindi non è più suscettibile agli insulti ed alla considerazione altrui.
« L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul sviluppo armonico e coscienziale dell'individuo. La sovranità appartiene al popolo, che la esercita senza limiti e senza intermediari, prendendosi il carico e la responsabilità diretta dello sviluppo stesso della società. La Costituzione è lo strumento per conseguire questo ulteriore sviluppo, le linee guida della costruzione del sé e di una nuova società. » (Articolo 1 della Costituzione Italiana - ancora da realizzare!)
Ah! Dimenticavo. La parola matrimonio derivante anch'essa dalla parola latina matrimonium, deriva dall'unione di due parole latine: mater, madre, genitrice e munus, compito, dovere. Il matrimonium era nel diritto romano un "compito della madre", il legame cioè che rendeva legittimi i figli nati dall'unione. Analogamente la parola patrimonium indicava invece il "compito del padre" di provvedere al sostentamento della famiglia.
Postato da Rocco BRuno
All'articolo 29 si legge, inoltre : 1- La Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio. Come ho avuto modo di spiegare in precedenza le parole che usiamo correntemente non indicano più qualcosa che abbia una qualche consistenza, ma tradiscono, per chi ne conosce l'origine etimologica, un inganno a discapito della comunità della anime che abitano questo pianeta.
La parola "lavoro" proviene dal latino: [labor] fatica, ed anche oper faticando, ossia lavorare. In varie lingue europee, il significato originario di questa parola, messo in luce dalle diverse etimologie, pare concentrarsi sempre sui suoi accenti più negativi: dolore (travaillé; trabajo), servitù (Arbeit), solo in qualche caso come urgenza (work). La voce famiglia procede dal latino famīlia, ovvero gruppo di servi e schiavi patrimonio del capo della "gens". Il termina è anche derivato dalla parola latina famŭlus, "servo", "schiavo". Nel campo semantico di famīlia sono inclusi anche la sposa e figli delpater familias, a cui appartenevano legalmente. La parola servo a sua volta si riferisce a qualcosa di "custodito", dal verbo "serbare", tenuto in conservazione.
Ritraducendo gli articoli della "costituzione" alla luce di quanto esposto risulterà, provocatoriamente, chiaro che la "repubblica italiana" è una democrazia fondata sulla fatica, e riconosce, come condizione naturale della società, la cerchia dei servi. Forse in origine le intenzioni di chi ha usato queste parole per definire il confine della repubblica e gli articoli costituenti o che ne delimitano il recinto, saranno anche state altre, ma sta di fatto che allo stato attuale della società che osserviamo quotidianamente queste due parole hanno ritrovato nei fatti il loro originale significato. Stando all'origine del termine famiglia, il "valore" su cui si fonda la nostra società è la schiavitù, una condizione di asservimento materiale e psicologico, dipendenza da un vizio, da un'abitudine, da una situazione vincolante per lo più economica, un occupazione senza senso finalizzata all'ottenimento di un posto di "lavoro", ovvero "fatica" retribuita, e non alla realizzazione di un arte o mestiere che ne elevano e sviluppano le qualità o attitudini individuali. Come se il ricevere un compenso per "questo" esaurisca ogni esigenza individuale. Certo tu mi dirai - "ma il denaro ci permette di fare quello che vogliamo!". Falso il denaro ti permette quello che altri hanno deciso essere quello che vuoi. I tuoi bisogni non sono i tuoi bisogni, i tuoi bisogni ti sono stati indotti sin dai prima anni di vita. Pensate soltanto a quello che fanno ai bambini con la pubblicità sui giocattoli.
Il lavoro è denaro ed il denaro è innanzitutto cibo, mascherato dietro la possibilità di possedere oggetti e intrattenimento che dovrebbero ricompensarci della perdita di "libertà" interiore, di integrità e di dignità. Ci tengono e ci prendono per fame, e chiunque di fronte a questi argomenti non può che abbassare il capo e sottostare alle condizioni che gli vengono imposte (lavoro precario, in nero, sottopagato, usurante, e quant'altro). Limitare la dignità e la realizzazione di un individuo attraverso il "lavoro" (ovvero "fatica" retribuita) che presta nella società, è di fatto una privazione del suo "spirito" ed impulso più profondo a "conoscere". Chiunque libero dal pregiudizio e dalla "paura" non potrà che constatare come oggi tutte queste cose siano esclusivamente dei vincoli ai quali l'uomo finisce per restare legato. Il collante? Sempre lo stesso: la "paura". E sarà la "paura" che sentiremo il 1° maggio in tutte le piazze di questo paese, la "paura" di restare senza occupazione, "paura" celata dietro la "preoccupazione" ed il "timore" di rimanere senza cibo, senza denaro per pagare le bollette, i mutui, la scuola e il mantenimento dei nostri famigliari. Il 1° maggio sperimenteremo il peggio astrale, piano emotivo o cielo nero degli ultimi anni, milioni di persone in piazza a protestare, mugolare, riempendosi la bocca con la parola "lavoro", "occupazione", senza sapere cosa stanno realmente dicendo e chiedendo, ed immerdando il cielo (già nero) con la loro autocommiserazione e "paura". Il "lavoro" non è dignità, è "fatica", è la fatica non nobilita l'uomo lo abbruttisce e lo abbassa alla condizione di "servo", di "dipendente".
Capisco che queste parole possono sembrare dure, ma quello di cui abbiamo bisogno non è "occupazione", anche se sulle prime sembra l'unico vero problema, ma è sognare un mondo diverso, completamente diverso dalla struttura attuale e per farlo dobbiamo prima riuscire ad immaginarlo, a sentire che un sistema diverso è "possibile"; non distruggere per distruggere, ma mostrare un'altra prospettiva di sviluppo che riparta non dai consumi, ma dall'uomo e dal suo bisogno assoluto di integrità. E' per questa ragione che inconsapevolmente le persone sono stufe delle ruberie e della corruzione, intuiscono uno spasmodico bisogno di "integrità". Far ripartire l'economia ed i consumi o la piena occupazione non sono soluzioni alla situazione contingente, sono bugie, si sa che non possiamo continuare in questo modo, che il sistema attuale è insostenibile, ha raggiunto il suo "break point". In qualunque società un sistema non sostenibile è destinato a crollare: se non è sostenibile a livello spirituale impazziranno tutti, se non lo è a livello di risorse, avverranno guerre e distruzione per l'accaparramento delle risorse, se non è sostenibile in entrambe avrai dei pazzi guerrafondai e guerre civili. Se continueremo a produrre e mangiare il territorio come abbiamo fatto sino adesso non resterà niente per nessuno. Il sistema è in "crash", perché lo è l'uomo: è l'uomo che deve cambiare e come conseguenza cambierà il sistema di sviluppo. I nuovi "assunti" parlano dell'uomo al centro, e di una società in grado di sostenere il suo sviluppo, che non è quello economico o sociale, quello viene dopo aver risanato l'uomo.
Come sarà il nuovo mondo non lo sappiamo, ma sappiamo che quello che vediamo che non va oggi o che che non ci piace, dipende in qualche modo da noi, da come siamo stati "formato" o condizionati. La crisi è dell'uomo. Se non cambiamo l'uomo non possiamo cambiare il mondo, anche perché quello stesso uomo non potrà, a causa di come è "fatto", che battersi affinché nulla cambi, affinché resti lo status quo anche se a parole dice il contrario. Un siffatto uomo vuole solo ridurre le diseguaglianze per poter accedere egli stesso alla possibilità di ricavarne qualcosa da una siffatta società. Senza un cambiamento di mentalità siamo destinati ad un nuovo medioevo. A nulla serve distruggere se non cambiamo l'uomo, se l'uomo non si decide a crescere e rendersi responsabile e farsi carico dei cambiamenti sociali. Il voto è delegare a qualcun altro, anche se per aprire una breccia a questa nuova visione è stato utile esprimere un voto. Non possono essere i nostri delegati a cambiare le cose e rassicurarci sul poter continuare come abbiamo fatto. Dobbiamo cambiare dentro.
La festa del 1° maggio è la festa della schiavitù, è la sua consacrazione, l'atto finale di una grande farsa, è la festa ed il sigillo della sconfitta inevitabile di questa umanità. Dobbiamo scendere nelle piazze per cambiare le condizioni di vita qui, dobbiamo realizzare un nuovo modo di fare sviluppo che parta dalla restaurazione del Sè, dello "spirito" individuale. Una strada difficile perché dovremmo abbandonare tutto, tutto ciò in cui crediamo e crediamo di "essere". E' di questo che già 2000 anni fa parlava un uomo detto il Cristo e che resta ancora inascoltato. L’occupazione è schiavitù, è servilismo, dovremmo chiedere un mondo diverso, condizioni di vita differenti, partendo da assunti diversi, nuovi anche se nuovi non lo sono: lo sono nuovi per noi. Essere “dipendenti” è la maschera che gli uomini indossano per nascondere l'assenza di libertà e la loro sostanziale rinuncia alla vita e allo "spirito" autentico depositato nell'uomo dalla sua venuta su questo piano. La condizione impiegatizia è la più abbeverante trasposizione dell'antica schiavitù.
Uno stato di immaturità interiore, una condizione di pigrizia interiore che gli impone la comodità di una vita vissuta nella ripetizione di gesti e comportamenti. L’uomo "servo" difende il suo "lavoro", la sua "occupazione", ma di fatto difende la sua condizione di schiavitù. Difende il suo datore di "lavoro" (ovvero datore di "fatica", "dolore" e "sofferenza") che serve incondizionatamente per "paura" di restare senza sostentamento, senza vita, e così facendo si impedisce di conoscere la natura vera del suo “essere”. Masse umane condannate alla ripetitività senza fine, alla ripetitività di un mestiere per lo più nemmeno scelto per passione, ma per “necessità” materiali, nella ripetizione di un mestiere senza creatività, masse umane che cercano nell'intrattenimento il riscatto di una giornata convulsa vissuta nell'inutilità. Uno sterminato esercito di esseri curvi, sconfitti, piegati ai bisogni immaginari di padri e figli, di madri e nipoti, che hanno smesso di credere nella propria unicità. Dipendere non è l'effetto di un contratto, non è legato al ruolo che ricopri, e non è nemmeno una questione di "cibo": dipendere è la conseguenza di un abbassamento della "coscienza", è una diminuzione della propria dignità. È il risultato della perdita della propria “anima”, intenso come l’autentica dignità e natura indistintamente "regale" dell’uomo. Il "lavoro" è aggiungere materia alla materia. Dipendere è il segno di un disfacimento della nostra ragion d’essere, dello scopo vero dell’esistenza umana.
E' questa condizione interna a generare quella degradazione che nel mondo assume l'aspetto di un ruolo subordinato, di un impiegato o di un operaio e persino di un manager. Sono solo gradini nella gerarchia degli dei "servi": un manager è un impiegato che si sforza di credere in quello che fa, fortemente identificato nel suo ruolo che, per quanto mediocre, gli dà un'appartenenza (all'azienda per cui lavora, ovvero da cui dipende), l'illusione, cioè, di avere una direzione ed un qualche "valore" personale. Dipendere è l'effetto di una mente resa schiava da timori immaginari, creati ad oc per tenerci sotto controllo. Se non vinciamo la "paura" non potremmo mai dire di essere liberi. Un dipendente è uno schiavo. Un "dipendente" è uno schiavo ed è la paura a renderlo tale. E' la "paura" di non riuscire a sopravvivere da solo, con le proprie risorse a renderci schiavi, è la paura a renderci insicuri e bisognosi delle attenzioni altrui o del sostegno esterno. Il bisogno di attenzione, di “considerazione” è il riflesso della nostra "paura": vinci la paura ed avrai vinto il mondo, avrai conquistato il diritto di esistere. Ciò che conta è sapere chi sei, cosa sei, e cosa cerchi, non come ti chiami o quanto hai in banca.
Dipendere è sempre una scelta personale, anche se involontaria. Siamo assuefatti a quello che c'è, vogliamo scivolare liscio, non vogliamo intoppi, nessuna "conoscenza" ulteriore, vogliamo solo "cibo", un "giaciglio" e la nostra piccola sfera di influenze per sentirci importanti, per "riprodurci" e trasmettere questa infezione alla nostra discendenza. Anzi al livello di degrado attuale vogliamo solo goderne senza la responsabilità di "procreare". Niente e nessuno può costringerci a dipendere: solo tu puoi farlo e lo fai. Dipendi dal tuo impiego, dalla tua casa, dalla tua famiglia, dai tuoi figli; dipendi dal tuo guru o dalla tua scuola di risveglio, dal tuo "karma" e dal tuo yoga e da chissà quant'altre cose. Se ti lamenti del tuo lavoro sei schiavo, se ti lamenti dei tuoi colleghi sei schiavo, se ti lamenti della tua retribuzione sei schiavo. Se ti lamenti sei schiavo, qualsiasi sia il tuo ruolo nella società. Lo schiavo si caratterizza da un "emozionale" totalmente fuori controllo.
Inconsapevolmente o meno tu scegli la schiavitù per “paura” ed è per questo che adesso imprechi contro il governo o col controllo mondiale, devi trovare un capro espiatorio alla tua indulgenza e vigliaccheria. I Sistemi, come pendoli ci fanno oscillare nella considerazione, ora a destra, domani a sinistra; sono i templi della nostra dipendenza, templi di un culto che è la "paura". E' la "paura" a fartelo fare, è che tu non la vedi e non la senti più, ti domina. Ecco perché abbiamo bisogno di rivoluzione, di una grande rivoluzione della visione d’insieme, una rivoluzione che coinvolga la nostra "coscienza": un’opera di trans - valorizzazione, un’opera di cambiamento dei valori in gioco. Personalmente credo che senza un cambio dei valori depositati nella personalità a causa dei primi processi educativi noi distruggeremmo ogni cosa, abbiamo bisogno di dare corso ad un possibile cambiamento del "pensiero". Solo una mente liberata dai condizionamento può vedere e comprendere il mondo in cui vive e comprendere l'esistenza degli angeli e degli dei. Un Dio è un uomo che ha raggiunto un altro grado di consapevolezza, ha sconfitto la "paura" e soprattutto l'importanza personale, si è reso "inaccessibile" e quindi non è più suscettibile agli insulti ed alla considerazione altrui.
« L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul sviluppo armonico e coscienziale dell'individuo. La sovranità appartiene al popolo, che la esercita senza limiti e senza intermediari, prendendosi il carico e la responsabilità diretta dello sviluppo stesso della società. La Costituzione è lo strumento per conseguire questo ulteriore sviluppo, le linee guida della costruzione del sé e di una nuova società. » (Articolo 1 della Costituzione Italiana - ancora da realizzare!)
Ah! Dimenticavo. La parola matrimonio derivante anch'essa dalla parola latina matrimonium, deriva dall'unione di due parole latine: mater, madre, genitrice e munus, compito, dovere. Il matrimonium era nel diritto romano un "compito della madre", il legame cioè che rendeva legittimi i figli nati dall'unione. Analogamente la parola patrimonium indicava invece il "compito del padre" di provvedere al sostentamento della famiglia.
Postato da Rocco BRuno
1 commento:
quando voglio provocare leggo il primo articolo così:
L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul LUCRO...
quindi è fondata sul Dio Danaro, giacchè nessuno, se non vuole essere preso per stupido, "lavora" gratis...
ottimo articolo complimenti !!!
in quanto alle "intenzioni di chi ha usato queste parole", non hanno nessuna importanza, visto che salvo rare eccezzioni "illuminate", anche costoro sono solo delle marionette senza coscienza ne conoscenza di se stessi...
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