Tanto tempo fa, prima dell'avvento dell'era tecno-capitalistica-industriale, più che crisi economiche, c'erano le carestie. Poteva capitare che una stagione poco piovosa comprometteva il raccolto di un intero anno, oppure che una malattia improvvisa potesse determinare una tragica moria di bestiame o, ancora, che qualche sciame dispettoso di insetti potesse distruggere i deliziosi prodotti di interi frutteti.
Ma con l'introduzione di raffinate tecniche agricole e di allevamento intensive, il pericolo delle carestie sembra essere un ricordo del passato. L'era tecnoindustriale, grazie all'automazione e alla disponibilità di fonti energetiche quali quelle di origine fossile, garantisce una produzione di cibo estremamente abbondante, molto spesso superiore al necessario, con un incomprensibile spreco di risorse.
Per non parlare poi della produzione industriale, attraverso la quale, ogni giorno, i nostri mercati vengono invasi dagli oggetti più diversi: abbigliamento, arredamento, automobili, elettrodomestici, gingilli di vario genere e chi più ne ha, più ne metta. Eppure, nonostante tanta abbondanza di prodotti, che dovrebbero essere la vera ricchezza di una comunità, sentiamo parlare, ormai da anni, di “crisi economica”. Ma se non esistono più le carestie che compromettono le produzioni, che cosa diavolo determina una crisi economica?
La “crisi economica” è determinata dalla scarsità di denaro in circolazione, cioè dello strumento che per convenzione una comunità si dà per garantirsi lo scambio di beni e di servizi. Attraverso l'equilibrio tra la quantità di prodotti disponibili (offerta) e la richiesta da parte della comunità di tali prodotti (domanda), viene fuori il prezzo, cioè la quantità di “crediti” necessari per effettuare uno scambio. Ad esempio, una mela per un credito (che poi si chiami lira, euro, oro, pietra, conchiglia o Enzo, è decisamente secondario).
In un sistema come quello descritto, ci dovrebbe essere in circolazione nella comunità una quantità di crediti tale da consentire a tutti i membri di poter scambiarsi quanto prodotto. Se, ad esempio, nella comunità sono state prodotte 100 sedie da valore di un credito ciascuna, 100 mele dal valore di un credito ciascuna e 100 mutande dal valore di un credito ciascuno, il capovillaggio (lo Stato), dovrebbe garantire la presenza di almeno 300 crediti in circolazione nel villaggio, più o meno distribuiti equamente tra i membri della comunità.
La somma della quantità di sedie, della quantità di mele e della quantità di mutande determina il PIL, il Prodotto Interno Lordo, cioè quanto prodotto dalla comunità in un anno solare. In base a questo valore, il capovillaggio si regola, immettendo moneta se serve, rastrellandola se è in più rispetto al necessario.
Tuttavia, nel nostro tempo, non funziona così. Prova ne è il fatto che ci troviamo di fronte ad un paradosso allucinante. Se camminiamo in un centro commerciale, oppure passeggiamo in una via dello shopping di una delle nostre città, notiamo che i magazzini sono pieni delle più svariate merci, ma pieni pieni. Se osserviamo, poi, i carrelli e le buste dei potenziali clienti, ci rendiamo conto che sono vuoti, ma vuoti vuoti. Perchè? Ma con l'introduzione di raffinate tecniche agricole e di allevamento intensive, il pericolo delle carestie sembra essere un ricordo del passato. L'era tecnoindustriale, grazie all'automazione e alla disponibilità di fonti energetiche quali quelle di origine fossile, garantisce una produzione di cibo estremamente abbondante, molto spesso superiore al necessario, con un incomprensibile spreco di risorse.
Per non parlare poi della produzione industriale, attraverso la quale, ogni giorno, i nostri mercati vengono invasi dagli oggetti più diversi: abbigliamento, arredamento, automobili, elettrodomestici, gingilli di vario genere e chi più ne ha, più ne metta. Eppure, nonostante tanta abbondanza di prodotti, che dovrebbero essere la vera ricchezza di una comunità, sentiamo parlare, ormai da anni, di “crisi economica”. Ma se non esistono più le carestie che compromettono le produzioni, che cosa diavolo determina una crisi economica?
La “crisi economica” è determinata dalla scarsità di denaro in circolazione, cioè dello strumento che per convenzione una comunità si dà per garantirsi lo scambio di beni e di servizi. Attraverso l'equilibrio tra la quantità di prodotti disponibili (offerta) e la richiesta da parte della comunità di tali prodotti (domanda), viene fuori il prezzo, cioè la quantità di “crediti” necessari per effettuare uno scambio. Ad esempio, una mela per un credito (che poi si chiami lira, euro, oro, pietra, conchiglia o Enzo, è decisamente secondario).
In un sistema come quello descritto, ci dovrebbe essere in circolazione nella comunità una quantità di crediti tale da consentire a tutti i membri di poter scambiarsi quanto prodotto. Se, ad esempio, nella comunità sono state prodotte 100 sedie da valore di un credito ciascuna, 100 mele dal valore di un credito ciascuna e 100 mutande dal valore di un credito ciascuno, il capovillaggio (lo Stato), dovrebbe garantire la presenza di almeno 300 crediti in circolazione nel villaggio, più o meno distribuiti equamente tra i membri della comunità.
La somma della quantità di sedie, della quantità di mele e della quantità di mutande determina il PIL, il Prodotto Interno Lordo, cioè quanto prodotto dalla comunità in un anno solare. In base a questo valore, il capovillaggio si regola, immettendo moneta se serve, rastrellandola se è in più rispetto al necessario.
Perchè i membri della comunità non hanno la possibilità di comprare i beni prodotti, dato non ci sono crediti in circolazione e quindi impossibilitati a scambiarsi i beni che loro stesso hanno prodotto. Hanno drammaticamente perso “potere d'acquisto”, un'espressione caduta nel dimenticatoio per essere sostituita da parole truffaldine come “spread”, che non significa assolutamente nulla.
Al che, un osservatore più attento, potrebbe chiedersi: ma che fine hanno fatto tutti i crediti? Per intenderci, dove sono andati a finire tutti i nostri soldi? Svaniti nel nulla? Un buco nero ha risucchiato tutte le monetine coniate e le banconote stampate? Ebbene sì, è questa la domanda delle domande, la quale ha due semplici risposte, una di ordine etico e un'altra di ordine sistemico, due aspetti del problema estremamente gravi e strettamente connessi fra di loro.
Questione etica
Il nostro villaggio prende atto della situazione e comincia a mormorare, individuando tre questioni etiche che hanno determinato la scarsità di denaro: iniquità, corruzione e sprechi.
Iniquità. Ad un certo punto, il produttore di sedie escogita un sistema che gli consente di abbattere i costi di produzione dei suoi prodotti. Se prima la produzione di 1 sedia gli costava 0,6 crediti, per poi rivenderla a 1 credito guadagnando 0,4 crediti, con il nuovo sistema la produzione di una sedia gli costerà 0,3 crediti e la rivendita, allo stesso prezzo, gli garantirà un guadagno di 0,7 crediti. Tutta la comunità andrà a fare i complimenti al falegname per la sua inventiva.
Nel tempo, però, anno dopo anno, si crea uno squilibrio tra la quantità di crediti accumulata dal falegname e quella degli altri due produttori. Il falegname, ad un certo punto, potrebbe diventare talmente ricco, da assorbire nel suo conto corrente tutti i crediti in circolazione. A questo punto interviene in capovillaggio, il quale, resosi conto della scarsità di crediti in circolazione determinata dall'accumulo del falegname, ha due possibilità.
La prima è quella di non considerare i crediti accumulati dal falegname come parte del denaro circolante. Al che, il capovillaggio continuerebbe ad iniettare crediti nel sistema determinando l'accrescimento smisurato della ricchezza del produttore di sedie. Inoltre, il villaggio verrebbe inondato da una quantità spropositata di moneta, fino a che il denaro disponibile sarebbe in quantità maggiore ai beni prodotti. A questo punto, il sistema si inceppa perchè si produce un aumento della domanda di beni e servizi rispetto all'offerta e quindi aumentano i prezzi di sedie, mele e mutande.
La seconda, invece, è quella di considerare l'accumulo del falegname come parte della moneta in circolo. Il capovillaggio, stabilirà che una parte del reddito del produttore di sedie torni in circolazione con un'imposta, per esempio, del 33%. Quindi, se il falegname in un anno ha guadagnato 70 crediti, con l'applicazione dell'imposta darà 23 crediti al capovillaggio, il quale provvederà a rimetterli in circolo.
Il falegname, così, si ritroverà con un reddito netto di 47 crediti, cioè 7 crediti in più rispetto al sistema di produzione precedente, che gli consentono di comprare qualche mela e qualche mutanda in più per festeggiare con la sua famiglia e godersi il meritato compenso per la sua inventiva. Il produttore di sedie, in questo caso una brava persona, è felice di aver contribuito alla stabilità del villaggio e di poter disporre di qualche credito in più.
Corruzione. Ma se il produttore di sedie è un'individualista e considera un “furto” la tassa? Allora non può fare altro che esercitare una qualche pressione sul capovillaggio. Forte del suo potere economico, il falegname comincerà ad invitare il capovillaggio a sontuose cene a base di enormi quantità di mele, festini con danzatrici esotiche, giri dell'isola sulla barca acquistata dal noto produttore di barche del villaggio vicino e, infine, un regalo composto da un set completo di sedie.
Fino a quando il capovillaggio sarà persuaso che effettivamente una tassa del 33% è davvero una rapina, decidendo di abbassarla ad un simbolico 10%. Naturalmente, per mantenere la stabilità dei prezzi, il capovillaggio non immetterà più moneta in circolo, cosicché il divario tra il falegname e gli altri due produttori è destinato a crescere sempre di più. Gli altri due incominciano ad incazzarsi un pò, sognando la vita mondana del falegname che viene continuamente spiattellata sulle pagine della rivista locale di gossip.
Sprechi. A questo punto, il capovillaggio e il falegname entrano in un vortice di benessere che gli fa perdere di vista il senso della collettività e cominciano a dedicarsi ad escogitare le attività più lucrose per beneficiare se stessi. Si decide che il villaggio abbia bisogno di una zona comune per incontrarsi e scambiare quattro chiacchiere.
Questa zona del villaggio sarà allestita con delle sedie in numero pari agli abitanti dell'isola. Benchè la popolazione totale del villaggio è pari a quattro unità, il capovillaggio decide che occorrono 15 sedie, da comprare dal falegname al prezzo di 1,20 crediti (quando si tratta dello Stato, i prezzi crescono misteriosamente). Totale della spesa 18 crediti. Per finanziare l'opera, il capovillaggio mette una tassa sul reddito annuo dei membri del villaggio del 12%.
L'opera viene completata, ma gli abitanti si rendono conto che c'è qualcosa che non va. Facendo due conti, si accorgono che al falegname, tra introiti dell'operazione e tasse, l'operazione e costata quasi zero. E poi perchè tutte queste sedie? E poi perchè il prezzo maggiorato? Nel villaggio ideale, il capovillaggio e il falegname verranno processati, condannati e costretti a restituire il maltolto alla comunità.
Questione sistemica
Iniquità, corruzione e sprechi sono le tre parole magiche che i media usano per giustificare la causa della crisi economica. E a ragione, naturalmente. Si tratta, più che altro, di una crisi di ordine culturale, nella quale l'interesse e la vanità, l'individualismo e l'egoismo, la sete di denaro e di potere sovrastano decisamente l'attenzione per il bene comune, per il progresso della collettività e la giusta distribuzione delle risorse.
Tuttavia, quello che non viene detto è che la crisi economica è determinata anche, e sopratutto, da una concezione bizzarra del sistema monetario. Il punto è: se uno stato è in grado di emettere la propria moneta, perchè bisogna pagare le tasse? Che cosa è il debito pubblico? Abbiamo trattato la questione in questo post: Ma se uno Stato può emettere mille miliardi di dollari dal nulla, perchè dobbiamo pagare le tasse? Potrebbe valere la pena leggerlo.
Torniamo nel nostro villaggio. Tutte le questioni etiche sono state risolte e i cittadini si vogliono bene. Ad un certo punto, nel nostro villaggio arriva uno straniero, un uomo che fa uno strano mestiere: “banchiere”. Egli spiega che è in grado di custodire i crediti dei membri del villaggio e di poter supplire ai grattacapi del capovillaggio sulla questione del denaro in circolazione.
Affascinato dalla proposta, il banchiere e il capovillaggio stringono un patto in questi termini: da oggi in poi, sarà il banchiere a prestare al capovillaggio il denaro necessario perchè gli scambi nel villaggio possano avvenire. Il capovillaggio si impegna legalmente a non emettere moneta, se non chiedendo il prestito al banchiere.
Il banchiere, per i suoi servigi, alla fine di ogni anno chiederà solo il 3% del denaro che egli preste al villaggio. Quindi, se il banchiere presta 300 crediti alla collettività, alla fine dell'anno bisognerà dargli un compenso di 9 crediti. Fantastico! Un servizio favoloso ad un costo irrisorio... grande euforia nel villaggio! Viene creata la BCV, la Banca Centrale del Villaggio. [Il governo occulto del mondo].
Però c'è un problema: se il capovillaggio non può più emettere crediti, come si fa a pagare i 9 crediti al banchiere, visto che in circolazione ci sono 300 crediti e non 309? Facile, mettiamo una piccola tassa del 3% sul reddito dei membri del villaggio, così a fine anno potremo pagare il banchiere. Meraviglioso!
Alla fine dell'anno, i membri pagano le tasse, il banchiere incassa il suo profitto e in circolo rimangono 291 crediti in circolazione ancora sotto forma di prestito e un pò meno di quanto prodotto. Pazienza, vorrà dire che 3 mele andranno al macero, e tre sedie e tre mutande rimarranno in deposito. Ci rifaremo l'anno prossimo!
L'anno successivo, la collettività dovrà pagare al banchiere il 3% di 291 crediti, pari a 8,73 crediti. In circolazione rimangono 282,27 crediti, più 3 sedie invendute, 3 mutande invendute e 2,73 mele al macero. Alla fine del quinto anno, la comunità si ritroverà con 257, 64 in circolo, ancora di proprietà del banchiere e una serie di sedie, mele e mutande invendute. I produttori per far fronte alla tassa e alle spese devono aumentare i prezzi, generando una contrazione degli scambi tra villani. La crisi inizia a mordere. Che fare? Bisogna chiedere aiuto al capovillaggio. Il capovillaggio, a sua volta, chiederà aiuto al banchiere.
Il banchiere propone al capovillaggio un nuovo prestito, però questa volta garantito da un'ipoteca sulle proprietà del villaggio. Il capovillaggio si impegna garantendo le “riforme strutturali” che garantiranno un aumento della produttività. Fatte le riforme, i villani si ritrovano a lavorare 10 ore al giorno per sei giorni alla settimana e, dopo cinque anni, i depositi sono pieni di sedie e mutande invendute (le mele sono andate a male), ma la scarsità del denaro è tornata ai livelli di cinque anni prima, anzi è peggiorata.
Il mutandaro è costretto a mettere in vendita la sua attività e l'unico in grado di acquistarla, con un offerta irrisoria ma che il mutandaro è costretto ad accettare, è quella del banchiere. In ultima analisi, quando il capovillaggio si vedrà impossibilitato a restituire il debito, forte delle ipoteche poste sui beni dell'isola, il banchiere, diventa il padrone assoluto del villaggio. E visse felice e contento, lui!
16 febbraio 2013
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