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domenica 12 agosto 2012

La sacralità di un tatuaggio


La sacralità di un tatuaggio
Disegni eterni ed indelebili incisi sulla pelle che suggellano un’emozione. Potrebbe sembrare blasfemo ma c’é del sacro anche in un tatuaggio. Fin dall'antichità, questa tecnica di decorazione nella quale vengono applicati sul corpo disegni o simboli attraverso l’impuntura dello strato superiore della pelle e la successiva iniezione di pigmenti colorati, è stata l’espressione della spiritualità e della cultura di molti popoli. Per troppo tempo il tatuaggio è stato considerato l’arte dei primitivi, dei fuorilegge, degli emarginati e finalmente solo di recente si é liberato dei pregiudizi ed ha conquistato non solo le masse giovanili. Studiosi, antropologi, sociologi e criminologi si sono interrogati a lungo sulle motivazioni che spingono un individuo ad incidere la propria pelle. A mio avviso ancora oggi il tatuaggio, se non banalizzato, assolve le medesime funzioni che rivestiva nelle società tradizionali: abbellirsi, comunicare, appartenere a un gruppo ed esorcizzare le paure. InAntropologia Strutturale Claude Lévi-Strauss descrive come l’uomo fin dall’antichità abbia sentito l’impulso di abbellire non solo gli oggetti intorno a sé, ma soprattutto il proprio corpo. Oggi come un tempo chi decide di farsi tatuare lo fa coscientemente e sa che sta imprimendo sulla propria pelle segni o simboli permanenti impossibili da rimuovere. Come le forti emozioni i tatuaggi restano impressi sulla nostra pelle per sempre. Tra i tatuaggi più richiesti e diffusi spiccano quelli tribali, ovvero quei tatuaggi che riprendono i disegni degli indigeni delle varie isole del Pacifico (Samoa, Isole Marchesi, Hawaii), dei Dayak del Borneo, dei Maori della Nuova Zelanda e dei Nativi Americani. Lo stile tribale è caratterizzato da disegni astratti, formati da linee dalla silhouette molto marcata, di solito riempiti totalmente di nero. Nel Borneo coloro che eseguivano i tatuaggi erano sia uomini che donne, queste ultime erano molto apprezzate e rispettate, oltre che lautamente ricompensate nella società, e tradizionalmente solo le donne potevano tatuare altre donne. I tipici tatuaggi del Borneo rispettavano sempre determinate posizioni del corpo che erano diverse tra uomini e donne ed avevano significati ben distinti, ad esempio il lukut o seme sacro veniva tatuato sul polso degli uomini contro le malattie, una rosa oppure una stella venivano tatuati sulle spalle e sull’avambraccio o sulla coscia veniva tatuato il cane. I Dayak, credono nel tatuaggio come simbolo di un significato religioso profondo, per questo, tatuare il proprio corpo è considerato un atto sacro. Il tatuaggio stesso è inteso come espressione del sacrale e per questo è ritenuto capace di scacciare gli spiriti maligni, le malattie e le piaghe. Sempre in Borneo un valoroso guerriero che tornava dalla “caccia alle teste” veniva tatuato sulla gola con simboli particolari. Era quello il segno distintivo che faceva del guerriero un personaggio valoroso diverso dagli altri. Già Charles Hose e William Mc.Dougall nella celeberrima opera ‘The pagan tribes of Borneo’ dedicarono numerose foto in bianco e nero ai tatuaggi Dayak.



Credo sia inoltre importante sottolineare come in alcune culture il tatuaggio sia addirittura proibito come ad esempio nelle società giudaico-cristiane. La religione ebraica vieta tutti i tatuaggi permanenti, come prescritto del Levitico (Vaikrà) (19, 28). In particolare, l'Ebraismo vieta ogni incisione accompagnata da una marca indelebile di inchiostro o di altro materiale che lasci una traccia permanente. Anche la religione musulmana vieta tutti i tatuaggi permanenti; come spiegato da diversi ahadith del profeta Maometto, sono consentiti solo i tatuaggi temporanei fatti per mezzo dell'henna. Il tatuaggio è stato utilizzato con finalità diverse e ancor più vari sembrano essere i motivi che hanno contribuito allo sviluppo di questa antichissima pratica. Il tatuaggio trasforma il proprio corpo in un mezzo di comunicazione ed accentua il senso di appartenenza a una tribù o una società attraverso disegni indelebili ed eterni appunto, cercando di trasmettere sentimenti, passioni e emozioni difficili altrimenti da spiegare. Si parla spesso oggi del tatuaggio come un fattore di moda, speriamo non sia così perché sarebbe davvero superficiale dover contestualizzare questa pratica all’interno di una moda; altresì mi piace pensare che questa tecnica porti con sé forti motivazioni cariche di significato mistico e simbolico. Una forte motivazione potrebbe trovarsi nel voler affermare la propria identità in maniera visibile, cercare un qualcosa di diverso dall’altro, tentare di essere unici. Un tatuaggio è infatti sempre diverso dall’altro, proprio per il suo carattere ‘artigianale’, ovvero ‘fatto a mano’: il tatuaggio può avere lo stesso disegno ma su corpi diversi il tatuaggio sarà sempre diverso. Ci chiediamo se può un semplice disegno inciso sulla pelle dare simbolicamente forza all’uomo? Sicuramente sì. In una società in bilico con la continua perdita di valori, è anche attraverso un disegno inciso sul corpo che l’uomo cerca di contrastare la paura, diventando un altro, un uomo più forte e coraggioso, capace di affrontare le mille paure del nostro tempo, la paura di non piacere, di non essere visto, di non essere considerato. Il tatuaggio assume così una forza simbolica che racchiude in sé svariate simbologie tra le quali la voglia di apparire, la voglia di appartenere e soprattutto la voglia di affermarsi come individuo in una società ogni giorno sempre più incerta.

Tiziana Ciavardini

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