Per la prima volta è stato studiato ad alta risoluzione un nucleo galattico attivo, ossia il "cuore violento" di una lontana galassia che ospita un buco nero gigantesco. Al lavoro, pubblicato sulla rivista Astronomy and Astrophysics, ha partecipato anche l'italianoAlessandro Marconi, dell'università di Firenze e dell'Istituto Nazionale di Astrofisica (Inaf).
Anche la tecnologia che ha permesso di studiare il buco nero è in parte italiana. Cruciale è stato infatti lo strumento Amber (Astronomical Multi Beam combineR), un interferometro installato presso il Very Large Telescope (Vlt) dell'Osservatorio Europeo Meridionale (Eso) sulle Ande cilene. Il cuore dello strumento, ossia l'avanzatissimo spettrometro che scompone la luce proveniente dai telescopi, la collima e produce l'immagine finale, è tutto italiano, ideato, realizzato e testato dall'Osservatorio Astrofisico di Arcetri dell'Inaf.
Lo studio, guidato dal tedesco Gerd Weigelt dell'Istituto per la Radioastronomia delMax-Planck, ha permesso di individuare un anello di polveri con un raggio di circa mezzo anno luce nella regione piu' interna del nucleo della galassia NGC 3783. Secondo i ricercatori, questa enorme 'ciambella' sarebbe la riserva di materia che alimenta il disco di accrescimento di gas caldo presente attorno al buco nero supermassiccio nel centro della galassia.
Essere riusciti a studiare nella banda del vicino infrarosso zone così prossime al buco nero in una galassia distante 150 milioni di anni luce è, osserva l'Inaf in una nota, un risultato "davvero eccezionale", che avrebbe richiesto un telescopio con uno specchio principale di oltre 100 metri di diametro: una misura irraggiungibile per gli strumenti attuali.
Il problema è stato superato grazie ad Amber, che combina la luce raccolta da tre dei telescopi che compongono il Vlt e raggiunge un'accuratezza 15 volte maggiore di quanto permetterebbe un singolo telescopio. "Queste osservazioni ottenute con Amber - osserva Marconi - rappresentano un importante successo scientifico e tecnologico, ottenuto con il fondamentale contributo italiano dell'Inaf. Un successo che testimonia l'eccellenza anche della ricerca applicata che viene portata avanti nel nostro Istituto e che viene esportata in progetti di respiro mondiale". [Ansa].
Buchi neri che divorano interi pianeti
Per un pianeta, la "distanza di sicurezza" da un buco nero potrebbe essere molto superiore di quella finora ritenuta. Una vasta regione dello spazio che lo circonda sarebbe caratterizzata da condizioni fatali per la sua sopravvivenza, tanto che verrebbe letteralmente polverizzato ben prima di essere distrutto da un eventuale collasso sul buco nero.
I buchi neri supermassicci si trovano nelle zone centrali della maggior parte delle galassie. Le osservazioni indicano che circa il 50 per cento di essi sono nascosti all'interno di nubi di polveri, la cui origine non è completamente noto. Secondo una nuova ipotesi - che si ispira al sistema solare, in cui è noto che la cosiddetta polvere zodiacale deriva dalle ripetute collisioni che si verificano tra corpi solidi, come asteroidi e comete - queste polveri sarebbero il risultato di ben più imponenti "incidenti" ad alta velocità tra pianeti e asteroidi al buco nero.
La teoria è illustrata in un articolo firmato da Sergei Nayakshin dell'Università di Leicester, pubblicato sulle Monthly Notices of the Royal Astronomical Society. Le collisioni tra questi oggetti rocciosi si verificherebbero a velocità estremamente elevate, almeno a mille chilometri al secondo, in un continuo processo di frantumazione e frammentazione degli oggetti coinvolti, fino a ridurli a una polvere microscopica.
"E' un peccato per la vita su quei pianeti - osserva Nayakshin - ma d'altra parte la polvere creata in questo modo impedisce a gran parte delle radiazioni nocive sprigionate dalla materia che collassa sul buco nero di raggiungere il resto della galassia che lo ospita. Questo a sua volta può rendere più facile il prosperare della vita nel resto della regione centrale della galassia."
Secondo il ricercatore, inoltre, la comprensione dell'origine delle polveri nei pressi dei buchi neri può aiutare a migliorare i modelli sui processi di accrescimento di questi inquietanti oggetti e sul modo in cui influenzano le galassie che li ospitano.
"Abbiamo il sospetto che il buco nero supermassiccio della nostra galassia, la Via Lattea, abbia espulso la maggior parte del gas che altrimenti si sarebero trasformati in ancor più stelle e pianeti. Comprendere l'origine delle polveri nelle regioni interne delle galassie potrebbe portarci un passo più vicini a risolvere il mistero dei buchi neri supermassicci". [Le Scienze]
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Anche la tecnologia che ha permesso di studiare il buco nero è in parte italiana. Cruciale è stato infatti lo strumento Amber (Astronomical Multi Beam combineR), un interferometro installato presso il Very Large Telescope (Vlt) dell'Osservatorio Europeo Meridionale (Eso) sulle Ande cilene. Il cuore dello strumento, ossia l'avanzatissimo spettrometro che scompone la luce proveniente dai telescopi, la collima e produce l'immagine finale, è tutto italiano, ideato, realizzato e testato dall'Osservatorio Astrofisico di Arcetri dell'Inaf.
Lo studio, guidato dal tedesco Gerd Weigelt dell'Istituto per la Radioastronomia delMax-Planck, ha permesso di individuare un anello di polveri con un raggio di circa mezzo anno luce nella regione piu' interna del nucleo della galassia NGC 3783. Secondo i ricercatori, questa enorme 'ciambella' sarebbe la riserva di materia che alimenta il disco di accrescimento di gas caldo presente attorno al buco nero supermassiccio nel centro della galassia.
Essere riusciti a studiare nella banda del vicino infrarosso zone così prossime al buco nero in una galassia distante 150 milioni di anni luce è, osserva l'Inaf in una nota, un risultato "davvero eccezionale", che avrebbe richiesto un telescopio con uno specchio principale di oltre 100 metri di diametro: una misura irraggiungibile per gli strumenti attuali.
Il problema è stato superato grazie ad Amber, che combina la luce raccolta da tre dei telescopi che compongono il Vlt e raggiunge un'accuratezza 15 volte maggiore di quanto permetterebbe un singolo telescopio. "Queste osservazioni ottenute con Amber - osserva Marconi - rappresentano un importante successo scientifico e tecnologico, ottenuto con il fondamentale contributo italiano dell'Inaf. Un successo che testimonia l'eccellenza anche della ricerca applicata che viene portata avanti nel nostro Istituto e che viene esportata in progetti di respiro mondiale". [Ansa].
Buchi neri che divorano interi pianeti
Per un pianeta, la "distanza di sicurezza" da un buco nero potrebbe essere molto superiore di quella finora ritenuta. Una vasta regione dello spazio che lo circonda sarebbe caratterizzata da condizioni fatali per la sua sopravvivenza, tanto che verrebbe letteralmente polverizzato ben prima di essere distrutto da un eventuale collasso sul buco nero.
I buchi neri supermassicci si trovano nelle zone centrali della maggior parte delle galassie. Le osservazioni indicano che circa il 50 per cento di essi sono nascosti all'interno di nubi di polveri, la cui origine non è completamente noto. Secondo una nuova ipotesi - che si ispira al sistema solare, in cui è noto che la cosiddetta polvere zodiacale deriva dalle ripetute collisioni che si verificano tra corpi solidi, come asteroidi e comete - queste polveri sarebbero il risultato di ben più imponenti "incidenti" ad alta velocità tra pianeti e asteroidi al buco nero.
La teoria è illustrata in un articolo firmato da Sergei Nayakshin dell'Università di Leicester, pubblicato sulle Monthly Notices of the Royal Astronomical Society. Le collisioni tra questi oggetti rocciosi si verificherebbero a velocità estremamente elevate, almeno a mille chilometri al secondo, in un continuo processo di frantumazione e frammentazione degli oggetti coinvolti, fino a ridurli a una polvere microscopica.
"E' un peccato per la vita su quei pianeti - osserva Nayakshin - ma d'altra parte la polvere creata in questo modo impedisce a gran parte delle radiazioni nocive sprigionate dalla materia che collassa sul buco nero di raggiungere il resto della galassia che lo ospita. Questo a sua volta può rendere più facile il prosperare della vita nel resto della regione centrale della galassia."
Secondo il ricercatore, inoltre, la comprensione dell'origine delle polveri nei pressi dei buchi neri può aiutare a migliorare i modelli sui processi di accrescimento di questi inquietanti oggetti e sul modo in cui influenzano le galassie che li ospitano.
"Abbiamo il sospetto che il buco nero supermassiccio della nostra galassia, la Via Lattea, abbia espulso la maggior parte del gas che altrimenti si sarebero trasformati in ancor più stelle e pianeti. Comprendere l'origine delle polveri nelle regioni interne delle galassie potrebbe portarci un passo più vicini a risolvere il mistero dei buchi neri supermassicci". [Le Scienze]
La nostra galassia si scontrerà con la galassia di Andromeda
Osservata la prima galassia QUADRATA!
Gli astronomi scoprono un pianeta fatto di diamante!
Ehi, quel pianeta è troppo vicino alla sua stella...
Keplero 16 b, il pianeta che orbita attorno a due stelle
2 commenti:
Grazie Dionisio....vera sentinella intelligente delle blogsfere.
Grazie a te per la lode, sono contento di esserlo, mi illumino io informando voi, guadagno reciproco!
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