Quando diciamo che “dobbiamo” qualcosa a un autore, intendiamo soltanto che i suoi scritti hanno improvvisamente portato alla luce qualcosa che già covava oscuramente dentro di noi. Altrimenti, ci avrebbe solo annoiato, per quanto bravo.
Ci sono alcuni autori cui io devo davvero molto.
Tra questi, uno dei principali è Alan Watts, che è poco noto in Italia, ma che mi ha rivoluzionato la vita.
Dal libro di Alan Watts, On the Taboo Against Knowing Who You Are, scritto nel lontano 1966. Lui scriveva bene (anzi, era un maestro dei giochi di parole e delle invenzioni linguistiche), io traduco male, ve ne chiedo scusa.
Non ho ancora incontrato un santo o un saggio che non avesse qualche debolezza umana. Perché finché ti manifesti in forma umana o animale, devi mangiare a spese di altre forme di vita e accettare le limitazioni del tuo particolare organismo, che il fuoco può ancora bruciare e dove il pericolo ancora fa secernere adrenalina.
La morale che possiamo trarre da questa comprensione è innanzitutto il sincero riconoscimento del fatto che dipendi da nemici, sottoposti, gruppi di esclusi, e in realtà da ogni altra forma di vita.
Per quanto tu possa essere coinvolti nei conflitti e nei giochi competitivi della vita pratica, non potrai mai più lasciarti cullare nell’illusione che “l’altro che offende” abbia totalmente torto e potrebbe o dovrebbe essere eliminato. Questo ti darà la preziosa capacità di contenere i conflitti in modo che non sfuggano di mano, di essere disposto al compromesso e ad adattarti – di giocare, sì, ma di giocare con serena lucidità.
Questo è ciò che chiamano “l’onore tra ladri”, perché le persone davvero pericolose sono quelle che non ammettono di essere ladri – quegli sfortunati che giocano il ruolo dei “buoni” con zelo talmente cieco da non poter riconoscere il proprio debito verso i “malvagi” che rendono possibile il loro status di buoni. [...] Non ti troveresti da nessuna parte senza di loro.
A causa della mancanza di questa percezione, l’etica politica e personale dell’Occidente, in particolare negli Stati Uniti è assolutamente schizofrenica.
Si tratta di una combinazione mostruosa di idealismo senza compromessi e di gangsterismo privo di scrupoli, e quindi priva di quel senso dell’umorismo e dell’altro che permette a persone che ammettono di essere delle canaglie, di sedersi insieme e arrivare ad accordi ragionevoli.
Nessuno può essere etico – cioè nessuno può armonizzare conflitti contenuti – senza arrivare a un accordo pratico tra l’angelo e il diavolo che albergano dentro di sé, tra la rosa sopra e il concime sotto. Le due forze o tendenze sono reciprocamente interdipendenti, e il gioco funziona soltanto finché l’angelo sta vincendo, ma non vince, e il diavolo sta perdendo, ma non si perde mai (questo gioco non funziona all’incontrario, proprio come l’oceano non funziona con la cresta dell’onda in basso e il cavo in alto).
[...]
Ma ci vuole davvero tanto tempo o sforzo per capire semplicemente che dipendi dai tuoi nemici e dagli estranei per definirti, e che senza qualche forma di opposizione, saresti perso? Vedere questo vuol dire acquisire, quasi istantaneamente, la virtù dell’umorismo, e l’umorismo e la supponenza si escludono a vicenda. L’umorismo è ciò che si vede nell’occhio di un giusto giudice, che sa di essere anche il reo sul banco degli imputati.
Come potrebbe starsene seduto lì, con la gente che lo chiama “Vostro Onore” o “Mio Signore”, se non ci fossero quei poveri disgraziati che gli trascinano davanti tutti i giorni?
Riconoscere questo fatto non sovverte il suo lavoro o la sua funzione. Lui svolge il proprio ruolo di giudice anche meglio se riconosce che al prossimo giro della Ruota della Fortuna, potrebbe diventare lui l’imputato, e che se si sapesse tutta la verità, lui si troverebbe già lì.
Se c’è del cinismo in questo, si tratta comunque di un cinismo amorevole – un atteggiamento e un’atmosfera che raffreddano i conflitti umani in maniera assai più efficace di qualunque quantità di violenza fisica o morale. Si tratta di riconoscere che la vera bontà della natura umana consiste in un particolare equilibrio di amore e di egoismo, ragione e passione, spiritualità e sensualità, misticismo e materialismo, dove il polo positivo ha sempre un lieve vantaggio su quello negativo (fosse altrimenti, e i due poli fossero perfettamente bilanciati, si arriverebbe a uno stallo e a un blocco totale).
Così, quando i due poli, quello buono e quello cattivo, dimenticano la propria interdipendenza e cercano di annientarsi a vicenda, l’uomo diventa subumano – il crociato implacabile oppure il delinquente freddo e sadico.
L’uomo non è fatto per essere né angelo né demone, e gli aspiranti angeli dovrebbero ricordare che quando la loro ambizione prevale, essi evocano orde di demoni per riportare equilibrio. Questa è stata la lezione del proibizionismo negli Stati Uniti, come di ogni altro tentativo di imporre con la forza un comportamento puramente angelico, o di strappare via il male alla radice.
Insomma, alla fine le cose stanno così: per essere vivibile o almeno pratica, la vita deve essere vissuta come un gioco – “deve” esprime qui una condizione, non un comandamento. Deve essere vissuta più con lo spirito del gioco che con quello del lavoro, e i conflitti che porta con sé devono essere vissuti riconoscendo che nessuna specie, nessun partecipante al gioco, può sopravvivere senza i propri naturali antagonisti, senza i propri amati nemici, i propri indispensabili oppositori.
“Amare i propri nemici” vuol dire amarli in quanto nemici; non si tratta necessariamente di un’astuzia per portarli dalla tua parte. Il leone pascolerà con l’agnello, ma non sulla terra – il “paradiso” è il luogo implicito, fuori dal palco, dietro le quinte, in cui tutte le parti in conflitto riconoscono la propria interdipendenza, e tramite tale riconoscimento, sono in grado di mantenere sotto controllo i propri conflitti. Questo riconoscimento è l’elemento cavalleresco, assolutamente essenziale, che pone limiti a ogni forma di guerra, che sia contro nemici umani o non umani, perché la cavalleria è lo spirito dell’onore del cavaliere che “mette in gioco la propria vita”, sapendo che anche il combattimento mortale è un gioco.
Nessuno che sia ingannato a credere di non essere nient’altro che il proprio io, o nient’altro che il proprio organismo, può essere cavalleresco, né tantomeno un membro civile, sensibile e intelligente del proprio cosmo.
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