La civiltà ci riempie di cose che ci fanno sentire ricchi, e così c’insegna a vedere la ricchezza nel possesso delle cose. In questo modo ci svuota di relazioni, di vicinanze, di emozioni, di sensibilità.
La civiltà ci riempie di tecnologia che ci promette di raggiungere l’impossibile e intanto perdiamo la capacità di fare le cose da soli, direttamente, con le nostre mani.
La civiltà ci fa credere di poter migliorare la nostra salute e invece ce la sta togliendo di dosso, come dimostra perfettamente una vita moderna in cui dilagano le malformazioni, le infermità, le disfunzioni organiche, le malattie in generale. Più il processo di civilizzazione avanza, più ne usciamo malconci, oppressi, disumanizzati. E questa situazione non fa altro che acuire la nostra sofferenza esistenziale. Già oggi il risultato è evidente. Nel mondo civile stiamo sempre peggio: aumentano i suicidi, i raptus omicidi, la violenza in genere; aumenta l’uso di antidepressivi, di psicofarmaci, di droghe, di stimolanti.
È comunque confortante la formazione di una sensibilità sempre più critica nei confronti dello stile di vita moderno. Ma non basta essere indignati, occorre anche cercare di capire cosa origini questo eco-socio-disastro, altrimenti si finisce per essere facili prede dei politicanti di professione, dei tanti recuperatori sociali che gridano all’insostenibilità solo per rendere il dominio un po’ più sostenibile. Essi non sono interessati a fermare la distruzione del mondo, si accontentano solo di raccogliere consensi suggerendo soluzioni palliative. Il pianeta è malato? Quello che propongono è trovare medicine che, come tutte le medicine, si occupino di nascondere i sintomi della malattia, lasciandone intoccate ( ed anzi perpetuate) le cause. Parlano di green economy, di tecnologia a basso impatto ambientale, di politica democratica, come se bastasse aggiungere un aggettivo per cambiare la sostanza delle cose. Non mettono in discussione la logica del commercio, lo vogliono equo e solidale; non mettono in discussione la presenza delle banche, le vogliono etiche; non mettono in discussione nemmeno la tecnologia, la vogliono al servizio dell’uomo. Sono quelli che si battono per l’energia pulita, per la giustizia giusta, per lo sfruttamento controllato, per il potere buono. Fabrizio de Andrè li aveva definiti con molto più coinvolgimento emotivo, ricordate?
“Bisogna farne di strada….per essere così coglioni da non capire che non ci sono poteri buoni….”
Quando si parla di critica alla civilizzazione non si parla di una nuova ideologia, di un nuovo partito in cerca di iscritti. È semplicemente uno sguardo aperto sulle condizioni del mondo (del mondo intero e non soltanto della società degli umani). Sguardo che deve partire ben prima dell’avvento dell’industrialismo perché le fabbriche, così come la religione, il maschilismo, l’economia, la politica, il controllo sociale, la tecnologia, lo sfruttamento ambientale, la schiavitù, la guerra, c’erano anche duecento anni fa. Se vogliamo capire quali siano le origini dell’universo autoritario e tossico in cui viviamo oggi, dobbiamo andare molto più indietro. Dobbiamo partire da quando abbiamo stravolto un modo di pensare, di sentire, di godere la vita. Dobbiamo partire dal momento in cui quell’originaria unione Individuo/Natura che aveva consentito al genere umano di vivere per oltre due milioni di anni in perfetta simbiosi con l’ambiente, viene spezzata. Da quando la Terra da soggetto diventa oggetto, una “cosa” da sfruttare. Fu quella la prima rivoluzione industriale: trasformata la terra in fattore produttivo, tutto prese la via della oggettificazione, piante, animali e alla fine anche gli uomini con la nascita dello schiavismo, della servitù della gleba e poi del lavoro salariato e della massificazione moderna. Non è un caso che quel termine agghiacciante col quale definiamo comunemente oggi la natura, e cioè “risorsa”, lo affibbiamo anche agli umani, che sono appunto diventati “risorse umane”.
Il dominio è nato così, ed è un dominio a tutto tondo che ci sta traghettando verso una distruzione generalizzata.
Non è quindi del tutto sbagliato definire la civiltà una condizione patologica: l’intero sviluppo della civiltà è ciò che la crea ma anche ciò che la trasporta verso l’annientamento di tutto e di tutti secondo una logica progredente che è molto simile a quella che anima un cancro. Ed è una patologia non soltanto ecologica ma anche sociale, perché la devastazione portata dalla civiltà non si ferma ai disboscamenti e alle intossicazioni ambientali del produttivismo, ma coinvolge il genocidio di indigeni come quello dei civilizzati. Essa infatti entra nella vita delle persone rendendole sempre più isolate, deboli, insicure, soggette all’autorità. In questo la tecnologia ha un ruolo insuperabile: espropria gli individui della loro capacità per renderli sempre più dipendenti dalle macchine. Ormai siamo talmente separati dal mondo naturale e attaccati a quello artificiale delle cose e dei servizi che non siamo più in grado di fare nulla da soli. Dipendiamo dal denaro (e dalla schiavizzazione lavorativa che ne deriva), dipendiamo dalla somministrazione di gas per riscaldarci d’inverno e dal funzionamento di un condizionatore per sopportare il caldo estivo. Non sappiamo più vivere senza farmaci, senza lavoro, senza televisione, senza cellulare e la nostra esistenza è sempre più appesa al filo di una presa elettrica che non si stacchi! Siamo al guinzaglio di un universo decostruito e ricostruito artificialmente che non possiamo più determinare. E più il processo di civilizzazione avanzerà, più ci ritroveremo incapaci di badare a noi stessi……e più saremo alla mercè della civiltà, più ci verrà naturale difendere la civiltà invece che la nostra vita libera.
Questa è la grande forza del potere, ed è il grande dramma di ogni vita addomesticata. La civiltà ci ha reso degli animali in cattività. Dobbiamo rimettere la vita nelle nostre mani ed essere di nuovo liberi e selvaggi. Dobbiamo avere la capacità di renderci conto che non esiste solo il dominio dell’individuo sull’individuo, ma anche quello che l’umanità civilizzata impone sulla Terra, ai Vegetali, agli Animali, ai Minerali e alle energie tutte della Natura. È quel dominio generalizzato sul vivente che va sradicato, perché la natura non è un oggetto ma un soggetto. La Natura siamo noi, e siccome in natura tutto è interconnesso, quello che dobbiamo comprendere è che ogni persona oppressa, ma anche ogni animale vivisezionato, ogni foresta disboscata, ogni raggio di sole offuscato, ogni soffio di vento rubato al Pianeta, è un colpo letale inferto a noi stessi.
Se non cominceremo a guardare alla civiltà come all’origine dei nostri problemi, continueremo a difendere il nostro stato di soggezione credendo di essere liberi e lottando solo per abbellire le pareti della prigione.
Tratto da un’intervista a Enrico Manicardi in occasione della presentazione del suo ultimo saggio “L’ultima era”.
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