"THE END"

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lunedì 24 settembre 2012

Scrittori esordienti ed editoria a pagamento: Se lo dice Umberto Eco


Scrivere un libro non è difficile. Non è complesso neanche correggerlo e valutarlo criticamente, magari riscrivendone alcune parti. Grazie alle nuove tecnologie non è complesso neppure stamparlo, acquistarne 1-5-5000 copie (sto esagerando?) e addirittura inserirlo in un canale di distribuzione nazionale. In pieno 2012 un autore è in grado di fare tutto ciò da solo; nessun bisogno di intermediari, agenti letterari, editori.
“E allora? Di che ti lamenti?” direte voi.
Mi lamento perché nonostante il libro di un perfetto sconosciuto sia in grado di raggiungere potenzialmente chiunque, c’è sempre un estrema difficoltà nel venderne anche solo (si fa per dire) 100 copie.
“E’ un problema di qualità” potrete aggiungere e magari concludere con un bel: “Se il libro è piacevole, ben scritto ed interessante venderà sicuramente.”

Siete sicuri? Io ho i miei dubbi. Innanzitutto occorre sottolineare che la tesi del libro premiato in quanto bello, cade miseramente quando ci si rende conto che i lettori tendono ad acquistare libri di autori che conoscono, o che sono consigliati da soggetti “autorevoli”. Anche io, pur essendo un autore che si autopubblica, ho avuto delle remore ad acquistare romanzi di scrittori esordienti salvo poi ricredermi il momento in cui mi sono fatto “coraggio”, mi sono collegato al sito, ed ho inserito l’articolo nel carrello.

Il problema è proprio questo: in un paese ove si legge pochissimo si cerca di andare sul sicuro. Ciò vale sia per i pochissimi che leggono 20-30 libri all’anno sia per i moltissimi che ne leggono uno ogni tanto. I primi, avendo affinato il loro palato letterario, acquistano ricercando la qualità. I secondi, timorosi di acquistare un mattone illeggibile, si affidano a quegli opinion leader che sono le TV, i giornali, o le recensioni “famose” stampate dietro la quarta di copertina.
Capirete che in un contesto del genere diventa assolutamente arduo per uno scrittore esordiente accedere ad uno di questi “opinion leader”, se non a costi talmente alti da rappresentare più una scommessa che un vero investimento.



Fino ad ora non ho detto una parola sugli editori. Perché’? La risposta è semplice: gli editori sono un sogno.
Le case editrici medio-grandi non si fanno carico del rischio insito nel pubblicare un esordiente (a meno che non sia già famoso), mentre le piccole chiedono un contributo di pubblicazione che non garantisce altro che la stampa di 100-150 copie. In quest’ultimo caso, però, il libro non viene distribuito capillarmente nelle librerie. A meno di un diretto intervento dell’autore (che fatica però), l’opera edita con una casa editrice a pagamento dovrà essere ordinato dall’acquirente; è quindi chiaro che il lettore dovrebbe andare in libreria con le idee già chiare (deve conoscere il libro). In conclusione le 150 copie pagate dall’autore è molto probabile che vengano acquistate da una cerchia piuttosto ristretta di conoscenti e che, anche in presenza di un passaparola consistente, difficilmente si riesce ad arrivare ad ulteriori ristampe.

A questo punto sembra proprio che mi sia infilato in un circolo vizioso, un vicolo cieco, un “cul de sac”.
Probabilmente si, ma non mi arrendo. Aver scritto tre romanzi (due autopubblicati) mi gratifica, ma non mi soddisfa pienamente. Sono convinto che la rivoluzione digitale possa, anzi debba essere utile a chiunque di noi sente la necessità di esprimersi sotto varie forme. E’ vero che in assenza di filtri emerge il rischio di imbattersi in opere poco interessanti o scritte male, ma è altrettanto vero che bastano due minuti di ricerca su google per poter comprendere se il libro “adocchiato” può essere interessante o meno. Recensioni, commenti, anteprime. Tutto ciò espresso liberamente e senza il congruo compenso che richiedono le spese pubblicitarie.
Quindi un po’ di coraggio! Per iniziare andate su internet e cercate, cercate cercate.
Non prima di aver letto ciò che in merito ha scritto undici anni fa Umberto Eco:



Caro Simone Bartoletti,
Rispondo volentieri al suo messaggio perché spero così di raggiungere altre persone che si trovano nella sua situazione, per dire loro candidamente come vanno le cose a questo mondo. Vengo anzitutto alla sua ultima richiesta, se io sia disposto a leggere il suo manoscritto. La risposta è no, e le ragioni sono tutte ispirate a un profondo principio di lealtà. Io (ma questa situazione è comune a molti scrittori e studiosi di una certa notorietà) ricevo ogni settimana almeno una decina di manoscritti (spediti da persone che non hanno avuto la delicatezza di fare come lei, e chiedermi prima se potevano inviarlo), dei generi più svariati, in gran parte racconti e romanzi, ma anche opere storiche o addirittura dimostrazioni sull’esistenza di Atlantide o del continente scomparso di Mu. A questi si aggiungono bozze di libri inviati liberalmente da editori stranieri che chiedono un blurb, e cioè una di quelle frasi di raccomandazione dell’opera che si stampano poi sull’ultima di copertina o in fascetta. Dieci manoscritti alla settimana fanno 520 all’anno. Una persona come me, che fa il professore universitario, dirige una rivista scientifica e due collane specializzate, è tenuto a leggere (e correggere, e rileggere) tesi di laurea voluminosissime e manoscritti inviati per la pubblicazione, per dovere d’ufficio, oltre a seguire quanto si pubblica nel proprio campo, per tenersi dovutamente aggiornato (anche se la mole di materiale che arriva è anche quella insostenibile). Anche a volersi eroicamente occupare degli altri manoscritti in arrivo, si può dedicare al massimo (diciamo) due ore giornaliere, strappate al sonno, alla lettura di tale materiale – a parte il fatto che, dopo aver letto per obbligo centinaia di pagine, ballano gli occhi. Tenuto conto che per leggere (bene) un manoscritto che può andare da cento a quattrocento pagine, anche procedendo a tre minuti a pagina (che è lo standard della lettura veloce ad alta voce), calcolando un libro medio di 250 pagine, saremmo a dodici ore, e quindi 24 giorni per libro, i conti sono facili da fare. 24 giorni per 250 libri fa 4000 giorni, e l’anno ne ha 365. Pertanto chiunque (che non faccia il mestiere full time di lettore per una casa editrice), ricevendo un manoscritto promette di guardarlo, mente. Al massimo lo annusa, ne legge le prime righe, ed emette un giudizio evidentemente poco fondato. A me non piace ingannare la gente in questo modo.La informo di un altro particolare, su cui nessuno ha mai detto la verità. Quando l’autore noto di una casa editrice invia alla direzione un manoscritto che ha ricevuto, dicendo che vale la pena di prenderlo in considerazione, rarissimamente gli si dà ascolto. Vige la persuasione che l’autore noto abbia rifilato loro qualcuno che lo stava sottomettendo a molte pressioni e che se la sia cavata in quel modo. È triste ma è così.
Passiamo ora alle case editrici. Per antica e fondata esperienza non credo alle case editrici che sollecitano manoscritti. Di solito cercano autori a pagamento, sono disposte a pubblicare qualsiasi cosa e se non rispondono è perché ne hanno già troppa. Sul funzionamento di queste case si veda cosa racconto nel mio Pendolo di Foucault a proposito del signor Garamond. È un romanzo, ma fondato su fatti reali.
Una casa editrice seria e importante, che non sollecita pubblicamente manoscritti, ne riceve comunque tantissimi – certamente cento volte più di quanti ne riceva io. Di solito (ma non esiste una regola generale) cerca di farli guardare tutti. È improbabile che li possa leggere il direttore editoriale (altrimenti non avrebbe tempo per dirigere), e spesso li si affida a lettori esterni.
Quando lavoravo in una casa editrice ne conoscevo uno, intelligentissimo e con una penna intrisa nel vetriolo, che passava la giornata sdraiato sul letto e leggeva tutti i manoscritti che riceveva. Queste letture gli venivano pagate con molta parsimonia, ma tutto sommato così campava. Li leggeva davvero, e mandava giudizi di fuoco – anche se qualche volta esprimeva rispetto e ammirazione per qualche testo. In casa editrice si faceva fatica a leggere tutti i giudizi, di una o due cartelle, che costui inviava giorno per giorno. Io adesso non ricordo bene (anche perché di solito i manoscritti in arrivo sono di carattere narrativo, e io mi occupavo solo di saggistica) ma non ho presente alcun manoscritto che sia poi diventato un librosegue

Per approfondire: questo blog
tratto da
http://www.mentecritica.net/

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