Tra perdite alimentari lungo la filiera, scarti di produzione e spreco domestico, oltre il 30% della produzione totale di cibo destinata al consumo umano viene sprecata
Tra perdite alimentari lungo la filiera, scarti di produzione e spreco domestico, oltre il 30% della produzione totale di cibo destinata al consumo umano viene sprecata.
È quanto emerge da uno studio inedito sullo spreco del cibo, curato dal Barilla Center e presentato il 23 maggio scorso a Milano.
In particolare, ogni anno nei Paesi industrializzati vengono buttate 222 milioni di tonnellate di cibo ogni anno: una quantità che sarebbe sufficiente a sfamare l'intera popolazione dell'Africa Sub Sahariana.
Soltanto in Europa, la quantità ammonta a 89 milioni di tonnellate, ovvero a 180 kg pro capite. L'Italia rappresenta circa il 10% con 8,8 milioni di tonnellate: 27 Kg pro capite che corrispondono ad un costo di 454 euro all'anno per famiglia.
A fronte degli 1,3 miliardi di tonnellate di cibo gettato nella spazzatura, c'è un miliardo di persone che non ha accesso a sufficienti risorse alimentari.
Lo spreco domestico maggiore pro capite si registra in Inghilterra, con 110 kg a testa, seguono Stati Uniti (109 kg) e Italia (108 kg), Francia (99 kg), Germania (82 kg), Svezia (72 kg).
Le perdite, invece, sono molto più consistenti nei Paesi in via di sviluppo, soprattutto nella fase di raccolta e nel processo di trattamento, spesso come risultato di competenze tecniche limitate, raccolto prematuro o fatto con pratiche inefficienti e arretrate, inadeguate dotazioni infrastrutturali, stoccaggio in ambienti infestati da insetti e microorganismi e assenza di una logistica capace di garantire la ''catena del freddo''.
Gli sprechi alimentari, poi, avvengono durante la trasformazione industriale, distribuzione e consumo finale e risultano maggiori nei paesi industrializzati, per ragioni di ordine economico dettate da standard estetici e qualitativi, regolamentazioni in materia alimentare, convenienza delle operazioni di raccolta, mancanza di conoscenza a livello dei consumatori finali, che spesso non hanno informazioni adeguate per la lettura corretta delle etichette o per la conservazione e il riutilizzo dei cibi.
Lo spreco, a differenza delle perdite, si concentra nelle fasi a valle della filiera, dunque nell'industria alimentare (il 39% dello spreco totale in Europa), nella distribuzione (il 5% dello spreco totale in Europa), nella vendita e nel consumo domestico (il 42% dello spreco totale in Europa).
La crisi economica ha comunque contribuito ad una riduzione del fenomeno dello spreco alimentare e ad una maggiore attenzione a ciò che buttiamo nella spazzatura. Dallo studio emerge infatti che in Italia, le famiglie hanno ridotto gli sprechi alimentari del 57% grazie a una spesa più oculata (47% degli intervistati), alla riduzione negli acquisti (31%), all'utilizzo degli avanzi dei pasti (24%) e una maggiore attenzione alle date di scadenza (18%).
Eppure, anche in tempi di crisi, secondo dati Ue, il 43% del cibo conservato nei nostri cibi viene sprecato. E la chiamiamo crisi questa?
Lo ha sottolineato il presidente di Last Minute Market Andrea Segré.
“Occorre misurare – ha affermato Segré - l'impatto da un punto di vista ambientale, sociale, ma anche nutrizionale. Basti pensare che delle circa 4600 calorie pro-capite lungo la filiera se ne perdono molte e si consumano solo 2000 calorie. Se evitassimo lo spreco, si potrebbe nutrire un'altra persona. Serve dunque più istruzione e informazione, per creare un sistema dove tutti vincono”.
Segrè ha spiegato che spesso grande confusione viene generata dalle etichette sul cibo. “È importante diffondere la consapevolezza sulla data di scadenza che in Italia indica 'preferibilmente entro'. Ciò significa che quel cibo è utilizzabile anche nei giorni successivi. Inoltre le etichette in Italia sono diverse da quelle in uso nel Regno Unito, occorre armonizzare tutto”.
Nessun commento:
Posta un commento